C’è un potere semplice, a portata di polmoni, che troppo spesso trascuriamo. È il potere del respiro — e non parlo di metafore, ma di vere e proprie manovre fisiologiche capaci di cambiare, in pochi minuti, lo stato del nostro sistema nervoso.
Un nuovo studio pubblicato su Psychological Reports da Kurdziel, McDevitt e Hardway ci racconta proprio questo: bastano tre minuti di respirazione lenta e controllata per aiutarci a gestire meglio le reazioni emotive a situazioni spiacevoli. Un piccolo allenamento, insomma, che aumenta la nostra prontezza a usare strategie mentali per regolare le emozioni, rendendoci meno ostaggi dei riflessi emotivi automatici.
Quando lo stress disattiva i “freni” del cervello
Non è un segreto che la capacità di regolare le emozioni sia una colonna portante del benessere psicologico. Se questa capacità si inceppa, si spalancano porte a disturbi come ansia e depressione. Ma c’è di più: stress e regolazione emotiva formano un circolo vizioso. Più siamo stressati, meno riusciamo a controllare le emozioni — e più le emozioni fuori controllo ci stressano.
Biologicamente, questo accade perché lo stress attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con rilascio di cortisolo, che va a indebolire la corteccia prefrontale — la parte del cervello deputata a funzioni “alte” come l’autocontrollo. Così, i nostri centri emotivi più primitivi, come l’amigdala, finiscono per dominare la scena senza un vero supervisore.
Tre minuti di respirazione quadrata
I ricercatori hanno testato un modo concreto per spezzare questo ciclo: la respirazione lenta e intenzionale, in particolare nella forma della cosiddetta box breathing (respirazione quadrata). In pratica:
inspira per 4 secondi,
trattieni per 3,
espira per 4,
trattieni per 3
… e ripeti per tre minuti.
Dopo questa breve pratica, 13 studenti universitari (è uno studio pilota, quindi un campione piccolo) hanno affrontato compiti di regolazione emotiva davanti a immagini spiacevoli o neutre. Dovevano, su indicazione, “aumentare”, “mantenere” o “ridurre” la loro risposta emotiva, usando il pensiero: immaginare la scena più vicina o più lontana da sé, o semplicemente lasciarsi andare.
Fonte: https://www.bodymindbrain.co.uk/polyvagal-theory/
Cosa hanno scoperto
I risultati sono interessanti:
Il semplice respiro ha abbassato la reattività di base: le immagini negative, dopo la respirazione, apparivano meno spiacevoli e meno agitanti.
Più controllo percepito: quando dovevano volontariamente ridurre l’impatto emotivo (sopprimere), i partecipanti si sono sentiti molto più capaci dopo aver respirato lentamente rispetto a quando non avevano fatto l’esercizio.
Più flessibilità emotiva anche per chi tende a evitare: le persone con una spiccata sensibilità alla punizione (più inclini a evitare ciò che li disturba) sono riuscite meglio persino ad “aumentare” la loro risposta emotiva — segno che il respiro ha creato un senso di sicurezza sufficiente per esplorare emozioni scomode.
Certo, essendo un piccolo studio, serviranno repliche su campioni più ampi e misure fisiologiche dirette (come la variabilità della frequenza cardiaca) per confermare questi effetti.
Una lettura “polivagale”
Qui entra in scena la teoria polivagale di Stephen Porges, che ci offre un’interpretazione affascinante. Secondo Porges, il nervo vago non è solo un conduttore di segnali verso organi e visceri, ma un vero regista delle nostre reazioni di calma e connessione sociale.
Quando respiriamo lentamente e profondamente, stimoliamo la branca ventrovagale, quella associata al riposo, alla digestione e ai legami affettivi. Il corpo riceve il messaggio: “Non c’è pericolo immediato, puoi rilassarti.” Questo migliora la regolazione della frequenza cardiaca e riattiva la corteccia prefrontale, restituendole i comandi.
In altre parole, il respiro è una leva neurovegetativa potentissima, capace di disinnescare l’allerta cronica e restituirci una mente più lucida e flessibile.
Gettare l’ancora: un piccolo protocollo
Nella terapia ACT (Acceptance and Commitment Therapy), si parla spesso di “gettare l’ancora”. È un modo pratico di rimanere presenti quando l’onda emotiva si alza. Si può unire alla respirazione quadrata per massimizzare l’effetto calmante, immagina di trovarti su una piccola barca che sta entrando nel porto. Il mare comincia ad agitarsi e dei nuvoloni si avvicinano all’orizzonte. Purtroppo non puoi attraccare in queste condizioni, l’unica soluzione è: gettare l’ancora e aspettare che passi la tempesta.
Ecco un piccolo protocollo:
Ferma ciò che stai facendo. Riconosci che sei agitato, triste o arrabbiato. Non scappare.
Fai un respiro profondo. Inizia con la respirazione quadrata per almeno 2-3 minuti.
Radicati nel corpo. Nota i piedi sul pavimento, il contatto della sedia, eventuali tensioni.
Apriti all’esperienza. Accogli la sensazione, senza combatterla. Dille: “Puoi restare finché vuoi.”
Riprendi ciò che conta. Ricorda qual è il tuo valore, il prossimo passo che ha senso per te, e agisci.
Un invito a sperimentare
Non servono tappetini né candele profumate. Bastano tre minuti di tempo, un cronometro, e la volontà di fermarsi. Il resto lo fa il tuo sistema nervoso, se solo gli concedi il ritmo giusto.
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