Ho sempre apprezzato Galimberti, in particolare per il libro che ho letto intorno ai miei 18 anni, L'ospite inquietante - Il nichilismo e i giovani. Quel libro è stato fondamentale per me: mi ha aiutato a scrivere sia la tesi di laurea triennale che la tesina di diploma, oltre a darmi lo spunto per approfondire le analisi del mondo e della psiche collettiva che ho approfondito in magistrale e poi nella scuola di specializzazione.
Proprio per questo, non vorrei sembrare irrispettoso ma ho trovato alcune perplessità nelle parole che Galimberti ha espresso in merito alla liberazione di Cecilia Sala. In un post sui social, pubblicato dall'editore Feltrinelli, il professore viene citato:
"Un solo consiglio: la capacità di controllo che Cecilia Sala ha dimostrato nel periodo della sua detenzione la riutilizzi per governare gli effetti dello stress post-traumatico, che le consentirà di mantenere intatta la propria autostima, che è il bene più prezioso che questa terribile esperienza può averle fatto conoscere."
Pur riconoscendo l’intenzione positiva di queste parole, credo che una semplificazione simile rischi di essere fuorviante per il vasto pubblico che segue il professor Galimberti. Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è una condizione estremamente complessa, che non si può ridurre alla capacità di controllo o al mantenimento dell’autostima. Il PTSD coinvolge emozioni intense, pensieri intrusivi, evitamento e risposte fisiologiche automatiche; è quindi molto più articolato di quanto lasci intendere la frase del professore.
Le ricerche scientifiche confermano che l’autostima può giocare un ruolo importante nel processo di recupero, ma non è né l’unico fattore né sufficiente a spiegare o risolvere il PTSD. Secondo molti esperti di trauma, tra cui il dott. Van der Kolk (sopratutto nel suo libro The Body Keeps the Score), questo disturbo si origina principalmente da due esperienze fondamentali:
Un vissuto di impotenza durante l’evento traumatico, che genera una rottura profonda nel senso di controllo personale.
Un’incapacità di scelta, spesso dovuta alla paralisi fisica o emotiva vissuta durante il trauma.
Il meccanismo del PTSD
A livello fisiologico, il PTSD si innesca quando un evento traumatico attiva l’amigdala, la “centralina” del cervello per la gestione del pericolo. Questo attiva una serie di risposte automatiche:
Il segnale di allarme spegne temporaneamente la corteccia prefrontale, riducendo la capacità di pensare in modo razionale.
L’ipotalamo attiva il sistema autonomico “lotta o fuga”.
Il talamo filtra o blocca alcuni stimoli sensoriali, per proteggere dal dolore. Tuttavia, una volta terminata l’emergenza, queste sensazioni spesso riemergono in modo esplosivo.
Infine, può verificarsi una dissociazione mente-corpo, che lascia il trauma “bloccato” nella memoria corporea e psicologica.
Questo spiegherebbe perché molte persone con PTSD rivivono l’evento traumatico attraverso flashback, reazioni fisiologiche incontrollabili o comportamenti ripetitivi. Un esempio storico sono i cosiddetti “scemi di guerra”, soldati rimasti intrappolati in gesti e reazioni automatiche legati ai bombardamenti.
Fonte: Wellcome Collection gallery (2018-04-06) patient suffering from war-neuroses. shell shock General Collections Keywords: Psychiatry; World War I
In questo contesto, l’enfasi sul “controllo” rischia di essere controproducente. Più che esercitare un controllo totale sulle proprie reazioni, è fondamentale accettarle e imparare a gestirle in modo funzionale. Insistere sul controllo può rinforzare schemi perfezionistici o aumentare il senso di colpa, soprattutto quando una persona traumatizzata non riesce a esercitare questo dominio su di sé. Approcci terapeutici come la Terapia dell’Accettazione e Impegno (ACT) evidenziano l’importanza di accogliere emozioni difficili senza reprimerle.
Critica alla “crescita post-traumatica”
L’idea che una “terribile esperienza” possa portare a un “bene prezioso” come il mantenimento dell’autostima richiama il concetto di crescita post-traumatica. Tuttavia, non tutti i pazienti riescono a trarre insegnamenti positivi da un trauma, e imporre questa narrazione rischia di invalidare il vissuto reale delle vittime. Pensiamo, ad esempio, a chi ha subito violenze domestiche, abusi sessuali o ha assistito a un attacco terroristico: in questi casi, l’idea di trovare un “bene prezioso” potrebbe essere percepita come una nuova forma di colpevolizzazione o di pressione. Non riconoscere la validità di tutte le reazioni – inclusa la sofferenza senza apparenti “benefici” – rischia di aggiungere ulteriore peso a un’esperienza già drammatica.
Nel trattamento terapeutico del trauma, un elemento centrale è riconoscere e validare ogni emozione e reazione del paziente, senza imporre aspettative che potrebbero risultare estranee o irrealistiche rispetto alla sua esperienza. Questo approccio mira a creare uno spazio di autentico rispetto e comprensione, permettendo alla persona di affrontare il proprio percorso di elaborazione in modo personale e significativo, senza il peso di preconcetti o narrazioni standardizzate.
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