Sulla serie 'Adolescence', i minori vittime di reato e i disturbi psichiatrici
Quando l’adolescenza incontra la violenza: tra cronaca, psicologia e responsabilità sociale.
Una serie tv può davvero farci riflettere su una realtà orribile come un omicidio tra minorenni? Adolescence, l’ultima produzione Netflix, sembra riuscirci con brutalità e onestà. Quattro episodi per raccontare un tredicenne, Jamie, accusato di omicidio. Ma il vero fulcro della storia non è il delitto in sé: Adolescence scava nelle radici di una violenza che sfugge alle spiegazioni tradizionali. La fiction diventa specchio di una realtà inquietante, quella di adolescenti che uccidono senza un apparente movente, per noia, per gioco, per "vedere cosa si prova" . Il male gratuito, privo di necessità, figlio di un vuoto culturale ma, sembrano indicarci gli autori della serie, anche radicalizzato attraverso messaggi veicolati dai social.
Negli ultimi anni, diversi casi di cronaca hanno fatto emergere un pattern sconcertante. In Inghilterra, la brutalità dell’omicidio di James Bulger (1993) un ragazzino di due anni, ucciso da due ragazzini di dieci non è rimasta un’eccezione. Nel 2023, due dodicenni a Wolverhampton hanno ucciso un diciannovenne con un machete, diventando i più giovani assassini condannati nel Regno Unito dai tempi del caso Bulger. E anche in Italia, secondo la Criminalpol, gli omicidi commessi da minori sono quasi triplicati in un solo anno.
Anti knife crime demonstration Wood Green Oct. 2019
Le ricerche suggeriscono che il contesto socio-economico non sia sempre determinante. Se in passato la devianza giovanile era associata alla marginalità, oggi emergono casi di adolescenti provenienti da ambienti benestanti, cresciuti senza privazioni materiali, ma immersi in un’apatia emotiva. La mancanza di limiti chiari, un narcisismo alimentato dai social, il bisogno di sensazioni forti: tutto questo può creare un terreno fertile per la violenza senza scopo. L’assenza di empatia, il bisogno di dominare, il desiderio di immortalare l’orrore in un video da condividere: elementi che si sommano e rendono il fenomeno ancora più disturbante.
Adolescence ci mostra il peso di questi fattori con una regia spietata, costringendoci a guardare dritto dentro l’abisso dell’adolescenza moderna. Jamie, il protagonista, ha solo 13 anni, un’età critica anche dal punto di vista legale. In molti paesi la responsabilità penale inizia proprio a 13 o 14 anni, soglia al di sotto della quale l’adolescente è considerato non imputabile. Ma possiamo davvero ragionare in termini giuridici di fronte a una realtà che ci mette davanti a bambini assassini?
Paul Cézanne - The Murder - Google Art Project
Diversi studi evidenziano una prevalenza significativa di problematiche psicopatologiche tra i minori arrestati, con stime che variano dal 60% al 95%.
Ansia, depressione, ADHD, psicopatia, disturbi post-traumatici da stress e disturbi di personalità sembrano essere i più presenti. Una discreta prevalenza del Disturbo da Stress Post-Traumatico pare essere presente dalle 2 alle 8 volte in più tra i giovani detenuti rispetto ai loro coetanei non detenuti, raggiungendo il 25% secondo alcune ricerche. Senza considerare che i disturbi dell’umore sono presenti in almeno un quarto della popolazione minorile incarcerata secondo i dati diffusi dall'associazione psyche.
E allora la domanda che ci propone Adolescence è inquietante: cosa possiamo fare? La società ha il dovere di interrogarsi sul proprio ruolo. Le famiglie, la scuola, i servizi sociali devono diventare presidi di prevenzione, non solo di intervento a tragedia avvenuta. La giustizia minorile dovrebbe mettere al centro la rieducazione, non la mera punizione. E, soprattutto, serve un cambiamento culturale. Perché finché penseremo a questi ragazzi soltanto come dei "mostri", continueremo a ignorare il vero problema: il mondo ha smesso di ascoltare i suoi figli.